io non sono un vostro collega, non ho mai lavorato in un'amministrazione né statale né locale. Ma da quasi quindici anni seguo le vostre vicende, le storie che avvengono nei vostri uffici, le aspirazioni di chi ci lavora, i cambiamenti, le ingiustizie, le conquiste, le cose belle e quelle brutte. Ora, da osservatore esterno ma appassionato, vorrei rivolgere un appello a tutti voi. O più che altro, invitarvi a una riflessione.
Da quando ho cominciato a occuparmi di questi argomenti, ho sempre ricevuto lettere e telefonate di impiegati pubblici scontenti dei loro stipendi. "Le faccio vedere la mia busta paga!" è la frase che più spesso mi sono sentito ripetere.
Le proteste erano quasi sempre giustificate. Difficile dare torto a un funzionario laureato, con venti anni di carriera e incarichi di una certa responsabilità, che guadagnava (mica tanti anni fa) circa un milione e mezzo di lire al mese, cioè 700-800 euro.
Le buste paga dello Stato e degli enti locali non sono mai state un gran che. Eppure non si era mai avvertito un sentimento di insoddisfazione e di rabbia come quello che regna oggi nel pubblico impiego. Basti guardare a ciò che sta accadendo alle agenzie fiscali: il dibattito acceso sul nuovo contratto nazionale, la rivolta contro i sindacati che l'hanno firmato, la tentazione di respingere un accordo che pure porterebbe un centinaio di euro in più al mese.
I dipendenti delle agenzie hanno le loro motivazioni. Le riassume abbastanza bene una lettera che mi ha inviato nei giorni scorsi Antonella Di Giacomo e che ho aggiunto come commento a un post precedente (potete leggerla qui)
Io però vorrei rivolgere ai dipendenti delle agenzie, e anche agli altri lavoratori pubblici italiani, una domanda forse sgradevole, ma sentita: siete proprio sicuri che le cose in questi anni vi stiano andando così male? Certo, il carovita, le bollette, i famosi rincari di cui parlano ossessivamente tutti i giorni i telegiornali... Ma facendo un confronto con gli altri italiani, i dipendenti pubblici hanno davvero ragione di lamentarsi?
Le cifre ci dicono che fra il 2000 e il 2006 le retribuzioni nello Stato centrale sono aumentate del 25,2%, nelle amministrazioni decentrate addirittura del 32,7%. Nello stesso periodo l'inflazione è stata del 15%. Dunque in sei anni gli stipendi sono cresciuti il doppio dei prezzi. E nel periodo preso in considerazione ancora non sono inclusi gli aumenti del contratto 2006-2007.
Sicuramente qualcuno obietterà che l'inflazione ufficiale dell'Istat non è quella vera. Prendiamo pure per buona l'obiezione (non voglio qui addentrarmi in una complicata discussione macroeconomica). Però faccio notare che negli stessi anni gli altri lavoratori italiani, quelli delle imprese private, hanno visto crescere le loro buste paga molto meno: circa la metà. E quando vanno a fare la spesa, i dipendenti privati trovano gli stessi prezzi di quelli pubblici.
Qualcun altro mi scriverà indignato che, aumenti o non aumenti, lo statale continua a ricevere uno stipendio da fame ("le faccio vedere la mia busta paga!"). E avrà ragione, perché non c'è dubbio che il lavoro pubblico rimane tuttora sottopagato. Ma questo non toglie che la situazione non è peggiorata rispetto agli anni Ottanta o Novanta, anzi è leggermente migliorata.
Se io fossi un dipendente pubblico, proverei a fare un bilancio dell'ultimo decennio. Innanzitutto mi verrebbe il sospetto che, in fondo, i tanto bistrattati sindacalisti del pubblico impiego non abbiano fatto poi un lavoro così cattivo. Quanto meno si può dire che sono stati più bravi dei loro colleghi delle altre categorie.
Dopo di che, mi chiederei se sia il caso di tirare ancora una corda già molto tesa. Non si può dire che i dipendenti pubblici godano di grande popolarità nel paese. Giornali e televisioni li descrivono come una massa di nullafacenti, corrotti e ultra-sindacalizzati. In campagna elettorale tutti i partiti promettono di risparmiare sul personale, chi riducendo il numero di impiegati chi bloccando gli stipendi. Persino i comici si divertono a sfottere. Porto ad esempio un articolo di Paolo Villaggio pubblicato su "Panorama":
"La possibilità di licenziare i dipendenti statali sarebbe una notizia rivoluzionaria. Loro hanno un unico interesse: studiare una tattica quotidiana per non fare nulla, per insabbiare le pratiche ed evitare un lavoro noioso. Come? E' piuttosto facile. Innanzitutto, con un grande calendario da tavolo, si studiano tutte le possibilità di unire lunghi ponti con pochi giorni di malattia, per arrivare anche ai due mesi di vacanza in un anno."
Viviamo nell'epoca della guerra fra categorie: gli operai contro gli statali, gli statali contro i commercianti, i commercianti contro i bancari, i bancari contro gli operai... E tutti insieme contro i politici.
E' in questo assurdo clima nazionale che i dipendenti pubblici devono trattare i loro contratti. Cioè devono chiedere aumenti di stipendio da finanziare (non bisogna mai dimenticarlo) con le tasse pagate dagli altri cittadini italiani. I quali si sentono a loro volta sempre più poveri e chiedono di pagare meno tasse.
Le agenzie fiscali possono scegliere di dire no a un contratto da oltre 100 euro di aumento (e circa 2 mila euro di arretrati). Possono sostenere che quei soldi sono troppo pochi; possono opporsi al licenziamento dei corrotti colti in flagranza di reato; possono respingere i premi di produttività in favore di chi non fa assenze. Possono decidere come vogliono, perché questo è un loro diritto. E non c'è dubbio che, se vincessero i no, i sindacalisti firmatari del contratto avrebbero il dovere di dimettersi.
Ma cosa ne penserebbe l'opinione pubblica italiana? Quale sostegno troverebbero i dipendenti pubblici fuori dai loro uffici?