giovedì 29 maggio 2008

Brunetta abolisce la carta. E lo annuncia con un pezzo di carta

Tutti i giornali di oggi raccontano dell'incontro di Renato Brunetta con i sindacati.
Il ministro ha anticipato le sue idee presentando un documento illustrativo. L'ultimo capitolo è dedicato all'innovazione tecnologica.
Brunetta indica l'obiettivo di abolire completamente la carta nella pubblica amministrazione. Non è una novità, lo hanno già promesso tutti i suoi predecessori da quindici anni a questa parte, anche se ora forse i tempi cominciano a essere maturi per farlo sul serio.

Il proposito veniva annunciato distribuento ai sindacalisti un fascicolo cartaceo di quarantadue pagine.

D'altra parte quando Brunetta ha proposto ai sindacati di proseguire il confronto per via telematica, la Cgil si è arrabbiata.

Tesoro e Agenzie fiscali, Tremonti blocca i premi di produttività

Come era prevedibile, Giulio Tremonti ha ritirato il decreto cosiddetto delle cartolarizzazioni. Cioè quel provvedimento che ogni anno quantifica le risorse da distribuire ai dipendenti del Tesoro e delle Agenzie fiscali per i premi di produttività.

Il decreto era stato firmato da Padoa-Schioppa pochi giorni prima di lasciare il ministero. In realtà Padoa-Schioppa non aveva fatto altro che ricalcare i precedenti decreti emanati da tutti i suoi predecessori, compreso Tremonti (che anzi è stato il primo ad includere nella distribuzione dei soldi anche i dipendenti del Tesoro, oltre a quelli del fisco).

E allora, se tutti i ministri fanno così da dieci anni, come si spiega ora questo ripensamento? Si spiega con il fatto che questa volta la Guardia di Finanza ha deciso di alzare la voce, reclamando una quota del malloppo. E con il fatto che la Corte dei conti ha recepito le proteste dei finanzieri, sollevando una serie di rilievi sul testo del decreto.

Resta da capire come mai la Corte dei conti abbia scoperto i presunti diritti delle Fiamme gialle soltanto adesso, dopo aver certificato per un decennio la legittimità dei precedenti decreti.

Sulla materia, ecco un articolo pubblicato sul Messaggero di ieri.

lunedì 26 maggio 2008

Meritocrazia nel pubblico e nel privato

La fedeltà al superiore conta più dei risultati ottenuti. Un sistema di valutazione dei dirigenti praticamente non esiste.
L'assunzione arriva grazie alle relazioni familiari o personali, la carriera dipende da quanto si è disposti ad eseguire gli ordini senza discutere, soltanto nel 20% dei casi il licenziamento colpisce chi non ha saputo raggiungere gli obiettivi assegnati.
Stiamo parlando della pubblica amministrazione? No. Per una volta sotto accusa è l'impresa privata.
Un'interessante studio condotto dalla Fondazione Debenedetti è stato riassunto ieri in un ottimo articolo di Cristiana Casadei e Gianni Dragoni pubblicato sul Sole 24 ore. Ne esce un ritratto avvilente delle aziende italiane, che si dimostrano incentrate sul "modello-fedeltà" molto più che sul "modello-risultati".

Gli industriali italiani danno continuamente lezioni di competitività alla nostra burocrazia, e non fanno mai passare cinque minuti senza aver pronunciato la parola "meritocrazia". Poi si scopre che nelle loro imprese il merito, il talento, la competenza sono qualità viste con diffidenza, o quantomeno poste in secondo piano rispetto alla disponibilità ad ubbidire. Come osserva Andrea Guerra, amministratore delegato di Luxottica: "Troppe medie aziende non sono esposte alla concorrenza e spesso, dopo un periodo di grande imprenditorialità, si sono andate a cercare una nicchia, il luogo protetto. A queste imprese che cosa importa di cambiare l'organizzazione?"

Il clientelismo, il parassitismo, il corporativismo, le colpe che tutti rimproveriamo alla pubblica amministrazione, sono in realtà le colonne su cui si regge l'intera società. Un giovane laureato che ha dei numeri può solo cercare fortuna all'estero, altrimenti deve accontentarsi di un lavoretto part time in un call center (come racconta magnificamente il film Tutta la vita davanti di Carlo Virzì).

Si dirà: le strutture pubbliche usano i soldi dei contribuenti, invece le imprese private gesticono risorse proprie e possono fare quello che vogliono. E' vero, ma fino a un certo punto. Innanzitutto, le società quotate in Borsa hanno una responsabilità nei confronti di tutti gli azionisti, cioè decine di migliaia di persone. Inoltre le inefficienze delle aziende italiane vengono pagate dall'intero paese. Se la nostra economia rallenta, è anche perché la nostra industria non regge la concorrenza internazionale, e sopravvive riparandosi dietro la protezione della politica e dei favori di Stato.

Prima di lamentarsi dei costi della burocrazia, forse gli imprenditori dovrebbero cominciare a cercare la competitività dentro le loro imprese.

giovedì 22 maggio 2008

Un altro "fattoide": il 6 politico al dipartimento Sviluppo

Questo sito è nato per diffondere notizie che non si possono trovare altrove. Invece negli ultimi tempi è diventato un luogo dove si smentiscono le notizie pubblicate da altri. La stampa italiana sta dedicando grande attenzione al pubblico impiego, e l'attenzione della stampa produce tutto tranne che informazione.

Prendete il Corriere della sera di ieri, mercoledì 21 maggio. A pagina 25 c'è un lungo articolo sulla falsa meritocrazia dei dirigenti pubblici che si attribuiscono i premi da soli, e fino a qui tutto bene. Poi, verso la fine dell'articolo, si legge: "Al ministero dello Sviluppo, se ogni funzionario può essere valutato da un minimo di 3 a un massimo di 9, c'è un accordo sindacale che prevede che la media dei voti non possa essere inferiore a 6". E' una notizia che i due autori dell'articolo riprendono da un precedente intervento pubblicato qualche giorno prima dall'economista Nicola Rossi.

Ma un lettore che avesse la pazienza di sfogliare il giornale fino alla pagina 37, troverebbe una bella sorpresa. Nella rubrica "Interventi e repliche", compare una lettera di Carlo Sappino, capo del dipartimento Sviluppo e coesione, cioè il dipartimento a cui si riferivano le critiche di Nicola Rossi. Con grande educazione, e direi con un certo stile, il dottor Sappino smentisce seccamente la notizia:
"Non è vero che nella valutazione dei funzionari 'non ci sarà nessun 9 e nessun 3'. I 9, pochi, ci sono; i 3, un po' di più, anche. E oltre il 30 per cento dei dipendenti sono risultati al di sotto della sufficienza. Nessun '6 politico', quindi".

Insomma, il Corriere nega a pagina 37 quello che ha scritto a pagina 25. La smentita più veloce della storia del giornalismo.

Sono pronto a scommettere che nei prossimi giorni qualcun altro rilancerà la falsa notizia del 6 politico allo Sviluppo, che a quel punto diventerà una verità incontestabile. Così nascono i fattoidi, cioè quei fatti che non sono mai successi ma che a forza di essere ripetuti da giornali e tv si affermano come veri.

Ha scritto Mark Twain: "Una bugia può fare il giro del mondo nel tempo che la verità impiega ad allacciarsi le scarpe".

domenica 18 maggio 2008

Fannulloni licenziati: che scoop!

E' sabato. L'agenzia di stampa Ansa lancia la notizia: "Licenziato fannullone, Padova anticipa Brunetta". Il fatto consisterebbe nel licenziamento di un dipendente comunale per assenze ingiustificate e altri comportamenti riprovevoli, fra cui l'abitudine di addormentarsi in ufficio durante l'orario di lavoro. Questo evento sarebbe - pensate un po' - un'anticipazione del "disegno di legge anti-fannulloni" che il ministro Brunetta avrebbe in preparazione per le prossime settimane.
La notizia dell'Ansa è stata ripresa ieri da tutti i siti e oggi da quasi tutti i quotidiani.

Come abbiamo già segnalato più volte, i licenziamenti nelle amministrazioni pubbliche avvengono magari non di frequente, ma neanche così di rado. E avvengono da anni, perlomeno da quando il rapporto di lavoro è stato privatizzato, cioè quindici anni fa.
Eppure ogni tanto un giornale si sveglia e urla lo scoop in prima pagina: "Per la prima volta un dipendente pubblico perde il posto!".

Negli articoli di ieri e di oggi la contraddizione è ancora più evidente, perché accanto alla storia del dormiglione vengono presentati anche altri episodi simili avvenuti negli ultimi giorni in tutta Italia. Ma se sono già state mandate a casa tante persone, come si può dire che questo licenziamento è il primo?

Il resoconto più bello l'abbiamo letto su Repubblica.it. Il pezzo si concludeva con il caso di "un postino di una ditta di recapiti espresso, al suo primo giorno di lavoro dopo una vita da precario", che "è stato sorpreso a scaricare la posta nel cassonetto della raccolta differenziata". A occhio e croce, direi che un portalettere assunto da una ditta di recapiti è un dipendente di un'azienda privata. Che cosa c'entrano allora i dipendenti pubblici?
Evidentemente nella categoria dello statale fannullone si fa rientrare ormai qualunque lavoratore italiano che non compia il suo dovere.

sabato 17 maggio 2008

Gli assenteisti in Cassazione

Lunedì scorso il quotidiano La Repubblica ha lanciato un servizio sui dipendenti del Palazzo di Giustizia a Roma che strisciano il badge e se ne vanno via.

A quanto pare, fra i dipendenti del Palazzo in Piazza Cavour è una pratica abbastanza diffusa quella di registrare la presenza senza neanche varcare la soglia, e andare poi a cercare un parcheggio per l'auto (nel migliore dei casi).

Fin qui i fatti, che sono fatti incontestabili, tanto più che a documentarli c'è un video cliccabile sul sito di Repubblica.it.
Dopo di che, ci sono le interpretazioni. Per esempio: la giornalista autrice dell'inchiesta metteva in relazione i tempi lunghi della giustizia italiana con il dilagare dell'assenteismo. La tesi insomma era che le sentenze in Cassazione arrivano con anni di ritardo per colpa dei dipendenti strisciatori di badge.
Su questo punto ha voluto replicare la Cisl della Cassazione. In realtà - scrive il segretario Guido Peparaio - negli ultimi dieci anni "i ricorsi depositati in Cassazione sono raddoppiati, mentre il personale amministrativo è diminuito sistematicamente in forza dei pensionamenti e del mancato turn over".

Complessivamente il video-servizio di Repubblica aveva quello stile che va di moda oggi, quel giornalismo un po' alla Report un po' alla Iene, dove il "taglio" del racconto è tutto. In questo momento il fannullone tira molto, un'analisi un po' più articolata non porterebbe audience.

Quella del fannullone è una fantastica figura retorica, un personaggio mitologico che piace tantissimo agli italiani, perché consente a tutti di autoassolversi. Se in Italia le cose vanno male, la colpa è sempre di qualcun altro: i fannulloni, oppure i politici (la casta!), o magari i "poteri forti" che non si è mai capito chi sono ma ci stanno sempre bene. Funziona tutto, pur di non essere messi di fronte alle proprie responsabilità.

Concludo riportando un passaggio di una lettera che è stata inviata a La Repubblica da Gennaro Martello, dipendente del ministero della Giustizia. Fino a oggi, a quanto ne so, il quotidiano non l'ha ancora pubblicata.


Caro direttore, sono rimasto molto deluso dall’articolo scritto dai suoi giornalisti che, seguendo la moda, si sono gettati su quella “fannullopoli” che sembra essere diventata la Pubblica Amministrazione Italiana. Evidentemente ai suoi ottimi collaboratori non è mai capitato di passare ore ad aspettare che qualche operatore di un call-center (privato) risolvesse un loro problema, che cercassero inutilmente di farsi risarcire un danno da un perito assicurativo, che provassero a capire un estratto conto o peggio a cambiare mutuo! Nessuno di noi, normalmente, pensa che la colpa del disservizio sia dell’operatore del call-center o dell’impiegato bancario: tutti riteniamo (giustamente) che la colpa sia del proprietario dell’azienda o del suo amministratore locale che ha organizzato male il lavoro. Questo ragionamento non trova applicazione nel caso della P.A., qui la colpa di tutte le disfunzioni è sempre solo di quei pochi, ingiustificati, che contravvengono alle regole ma MAI di chi organizza il lavoro o di chi ha consentito che i “fannulloni” entrassero nella P.A. tramite raccomandazioni.

Gennaro Martello

mercoledì 14 maggio 2008

La Uil della Presidenza protesta

La Uil della Presidenza del Consiglio mi ha scritto una lettera per protestare contro il mio articolo che parlava dei tornelli a Palazzo Chigi. La lunga lettera è stata pubblicata integralmente dal Messaggero.it, con grande risalto e con l'aggiunta di una mia più sintetica risposta. Per motivi che non so spiegarmi, è stata una delle notizie più cliccate del giorno.

martedì 13 maggio 2008

Il ministro contro i fannulloni

Riporto qui uno stralcio da un articolo di Massimo Gramellini, pubblicato sulla Stampa di oggi. Non ha bisogno di commenti.

A puro titolo di promemoria mi permetto di segnalare la sintesi di un discorso tenuto dal ministro senza portafoglio per la riforma della pubblica amministrazione:
"Impegno prioritario della nostra azione sarà la lotta ai fannulloni che si annidano fra le pieghe dello Stato, minandone le fondamenta con il loro pessimo esempio. Punire i fannulloni e premiare i meritevoli: ecco un comportamento davvero virtuoso. Insieme alla questione meridionale, che si trascina ormai da tempo immemorabile, l'efficienza della macchina dello Stato è il punto qualificante di qualsiasi attività di governo che intenda contenere la spesa pubblica e ridurre le tasse senza peggiorare la qualità dei servizi: della sanità e della scuola in particolare".
Il ministro in questione faceva parte del governo Fanfani e il suo discorso risale alla primavera del 1958.

Numeri da non crederci

Piovono numeri, percentuali, stime, statistiche di tutti i tipi. La pubblica amministrazione è in prima pagina, e il giornalismo al giorno d'oggi si fa con le cifre. Possibilmente sbagliate.

Ne abbiamo già parlato in passato, ma è bene ribadire che tutti i dati sulle assenze dei dipendenti pubblici diffusi in questi giorni sono dati a casaccio.

La più bella l'abbiamo vista ieri sera a "Porta a porta". L'oggetto era: l'assenteismo di pubblici e privati a confronto. Un classico.
Il dato sui dipendenti delle imprese private era: 9,6 giorni di assenza medi a testa. La fonte: Cgia di Mestre.
I lettori assidui di PUBBLICO DOMINIO conoscono già questo numero. Come spiegammo in un vecchio post, il calcolo dei 9,6 giorni all'anno l'avevamo elaborato noi qualche tempo fa, poi la Cgia di Mestre ce lo copiò senza indicare la fonte. E quel numero non si riferisce a tutti i dipendenti privati (nessuno ha mai fatto un calcolo globale) bensì ai soli lavoratori metalmeccanici.

Ma attenzione. Ci si poteva aspettare che Bruno Vespa, avendo riportato il dato della Cgia di Mestre riferito ai privati, utilizzasse la stessa ricerca (copiata) per i pubblici. Invece no. Guarda caso, la redazione di "Porta a porta" ha scelto per i lavoratori un altro dato, attribuito alla "Ragioneria generale dello Stato". La media dei giorni persi per malattia è diventata così di oltre 16 giorni all'anno, anziché 10,5 giorni come sarebbe stato giusto scrivere. La differenza dipende dal fatto che in quei 16 giorni vengono compresi anche i congedi di maternità, i permessi per malattia del figlio o quelli della legge 104 (assistenza a un parente disabile). Insomma si mettono a confronto due dati non omogenei, e se ne trae la conclusione che i dipendenti pubblici si ammalano quasi il doppio di quelli privati.

Come al solito, i dati vengono aggiustati per supportare una tesi, e per andare incontro al senso comune. I numeri dicono che un impiegato pubblico si mette in malattia più o meno come un metalmeccanico? Nessuno ci crederà mai, piuttosto cambiamo i numeri.

Una vecchia battuta diceva: secondo un'indagine dell'Istat, il 90,5% delle statistiche è totalmente inattendibile.

lunedì 12 maggio 2008

Tanto per cambiare, si parla di fannulloni e licenziamenti

Il neoministro Brunetta spopola su tutti i media. "Licenzierò i fannulloni" recitano i titoli di giornali e tv.

In tema di licenziamenti, ecco un articolo pubblicato dal sito del Messaggero. Giusto per riaffermare un minimo di logica.

sabato 10 maggio 2008

Parla il nuovo ministro

Sul Messaggero in edicola oggi, intervista con il nuovo ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta.
Nell'intervista si parla, fra l'altro, di:
- stabilizzazione dei precari;
- detassazione degli straordinari e dei premi;
- memorandum del pubblico impiego;
- privatizzazioni nella sanità, nella scuola, nella giustizia;
- Aran e contratti.

Patroni Griffi sarà capo di gabinetto alla Funzione pubblica

Sarà Filippo Patroni Griffi il capo di gabinetto del ministro Brunetta alla Funzione pubblica.

Patroni Griffi è uno dei tecnici più esperti in circolazione, il campione dei capi di gabinetto. Ha già assolto questo compito per tre ministri della Funzione pubblica, (Urbani, Frattini e Bassanini), nonché per Giuliano Amato quando era ministro delle Riforme istituzionali. E' stato presidente dell'associazione dei consiglieri di Stato. Nel governo uscente era a Palazzo Chigi come capo del Dagl, il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi.

giovedì 8 maggio 2008

Renato Brunetta, il nuovo ministro della Pubblica amministrazione

In un certo senso, lo avevamo profetizzato.
"... la pratica se la ritroverà sul tavolo il prossimo ministro della Funzione pubblica, che sia Pietro Ichino o Renato Brunetta"
avevamo scritto in un post del 22 febbraio scorso. In quel momento sembrava una battuta, invece è andata proprio così.

Ichino c'è andato vicino a occupare la poltrona di ministro, se è vero come si dice che Berlusconi gliel'ha offerta e lui l'ha rifiutata. Brunetta è diventato ministro per davvero, e proprio al posto giusto: funzione pubblica e innovazione tecnologica.

Brunetta è un professore molto competente in materia di politiche del lavoro. E' veneto, è di Forza Italia, è un economista di stampo fortemente liberista, le sue opinioni sul pubblico impiego le ha espresse chiaramente negli anni passati e le ha ribadite senza ambiguità durante la recente campagna elettorale. Su questo blog le abbiamo riferite in due precedenti post.

In estrema sintesi: secondo Brunetta negli ultimi undici anni i dipendenti pubblici hanno avuto aumenti troppo generosi, e nei prossimi cinque sarebbe il caso di bloccare gli stipendi.

Fino a oggi abbiamo sempre visto i ministri della Funzione pubblica assumere il ruolo di avvocati degli statali all'interno del governo, mentre i ministri dell'Economia di solito cercano di limitare il più possibile la spesa per il personale. E questa volta che succederà? Vedremo il professor Brunetta battere i pugni sul tavolo del suo collega Tremonti perché conceda più soldi ai dipendenti pubblici?

mercoledì 7 maggio 2008

Sorpresa: l'Italia ha meno impiegati pubblici dell'Inghilterra

I numeri sono sfacciati: dicono quelle verità che nessuno vuole ascoltare.

Consiglio a tutti la lettura di una nuova pubblicazione dell'Istat intitolata "100 statistiche per il Paese". Nel volume si trovano cifre e confronti internazionali che mostrano una fotografia dell'Italia decisamente fuori dai luoghi comuni.
Sono tante le sorprese nei campi che non riguardano l'argomento del nostro blog, come la criminalità (siamo uno dei Paesi più sicuri d'Europa) o le infrastrutture (abbiamo più autostrade degli altri, e anche la rete ferroviaria non è messa poi malissimo). Ma quella che qui ci interessa è la pagina dedicata al pubblico impiego.

Il titolo del capitolo dice già molto: "In calo il peso occupazionale del settore pubblico". La statistica è stata realizzata seguendo criteri omogenei per tutti i paesi europei. Per esempio, non si è calcolato semplicemente il numero degli occupati, bensì le "unità di lavoro", una misura che consente di tenere conto anche del lavoro svolto da part time, contratti a termine, eccetera. Le tabelle dimostrano che da venti anni in Italia il lavoro pubblico è in costante regresso rispetto a quello privato.
Fra il 2000 e il 2007 la riduzione è stata dello 0,3%, mentre nel decennio fra il 1990 e il 2000 è stata addirittura del 4,3% (ma su questa cifra forse incide molto la privatizzazione delle Poste).

C'è però un altro dato ancora più sorprendente, o che perlomeno sorprenderà quelli che parlano di pubblico impiego senza sapere ciò che dicono. L'Italia risulta essere uno dei paesi europei con meno lavoro pubblico e più lavoro privato. Il peso occupazionale dello Stato da noi è più basso che in Irlanda, nel Regno Unito, in Belgio, Grecia, Finlandia, Paesi Bassi, per non parlare di Francia e Danimarca. Su 27 paesi, ben 21 stanno peggio di noi. In Europa la forza lavoro pubblica rappresenta il 20,6% del totale, in Italia il 14,5%.

I numeri sono sfacciati. Forse è per questo che agli italiani piace poco la matematica.

lunedì 5 maggio 2008

La Presidenza del Consiglio, i tornelli e i sindacati

Nei palazzi della Presidenza del Consiglio stanno arrivando i tornelli. Il segretario generale Malinconico li ha già fatti installare, e dovrebbero entrare in funzione in tempi brevi. I dipendenti mugugnano, i sindacati protestano.

Se davvero questa innovazione servirà a registrare in modo rigoroso le presenze (cosa ancora da dimostrare), le conseguenze potrebbero essere rilevanti. Per qualcuno si potrebbero ridurre le ore di straordinario, e si sa che alla Presidenza gli straordinari pesano tanto sulla busta paga, molto più che nelle altre amministrazioni statali.

D'altra parte l'assenteismo alla Presidenza del Consiglio è diventato un tema di interesse nazionale, sul quale sono state fatte inchieste giornalistiche (Corriere della sera) e televisive (La7). Qualche provvedimento a Palazzo Chigi bisognava pur prenderlo.

Chi voglia conoscere altre notizie e dettagli sulla vicenda, può leggere l'articolo pubblicato ieri sul Messaggero.


Dopo aver letto l'articolo, quelli della Cgil-Presidenza del Consiglio mi hanno fatto presente il motivo per cui il loro sindacato non è intervenuto nella polemica: "Perché non si tratta di materia contrattuale, perciò è una contesa che non ci appassiona" dicono.
In ogni caso alla Presidenza del Consiglio la Cgil ha pochi iscritti e pochi voti, tanto da non raggiungere neanche la rappresentatività sindacale.

venerdì 2 maggio 2008

Anche gli autonomi firmano i contratti

Il signor Fabrizio Francescone, dipendente dell'Agenzia delle Entrate, mi scrive per segnalare una lacuna nei miei precedenti post: non ho mai sottolineato che i sindacati autonomi, pur sparando a zero sui contratti nazionali firmati da Cgil-Cisl-Uil, li firmano poi anch'essi alla chetichella. Fanno così da sempre gli arrabbiatissimi delle Rdb-Cub, fanno così i sindacati "di comparto" come il Salfi alle Agenzie fiscali.

Loro, gli autonomi, rispondono accusando le regole della rappresentanza sindacale. La legge infatti dice: chi non firma i contratti nazionali viene poi escluso dalle trattative per i contratti integrativi. Ecco perché - spiegano - siamo costretti a mettere la nostra sigla su accordi che non ci piacciono.

La legge sulla rappresentanza sindacale (quella che misura la rappresentatività non solo sul numero di tessere, ma anche sui voti espressi da tutti i dipendenti nelle elezioni delle Rsu) fu voluta da Franco Bassanini e Massimo D'Antona nel 1997.

Ho inserito la lettera di Fabrizio Francescone fra i commenti di un post dedicato alle Agenzie fiscali.