martedì 6 gennaio 2009

Ma il contratto degli enti pubblici è valido oppure no?

Fino a un mesetto fa, tutti erano convinti che il contratto degli enti pubblici non potesse essere firmato senza la Cgil. Fra quei tutti c'erano anche il presidente dell'Aran Massimo Massella e il ministro Brunetta, i quali a metà novembre in una conferenza stampa ammettevano: in uno o due comparti del pubblico impiego, senza la Cgil potrebbe non esserci il 51% di rappresentatività.
La legge sulla rappresentatività stabilisce che un accordo è valido soltanto se i sindacati che lo firmano rappresentano il 51% dei dipendenti, percentuale che si calcola facendo la media fra il numero di tessere e i voti raccolti da ciascuna sigla alle elezioni per i rappresentanti sindacali. In teoria il calcolo doveva essere una cosa semplice, perché la matematica non è un'opinione. In pratica, la norma ha aperto un dilemma interpretativo su cui si stanno esercitando da mesi squadre di giuristi, magistrati e avvocati.

La questione è la seguente: quando si dice 51 per cento che cosa si intende per "cento"? La percentuale va calcolata sul totale delle tessere e dei voti validi? Oppure il "cento per cento" è la somma dei voti e delle tessere messi insieme dai soli sindacati ammessi al tavolo? Insomma, i consensi ottenuti dalle sigle che non hanno raggiunto il quorum vanno inclusi nel conteggio o vanno scartati?

La legge infatti prevede che alle trattative possa partecipare solo chi ha una rappresentatività minima del 5%. Negli enti pubblici le sigle al di sopra del quorum sono soltanto cinque. Se il conto si limita a quelle cinque, è chiaro che la firma di Cisl e Uil basta e avanza a garantire il 51%. Se invece si comprendono anche tutti quei sindacati che non hanno i requisiti per entrare nelle trattative, allora Cisl e Uil non sono sufficienti a raggiungere la metà di deleghe e voti.

Quest'ultima interpretazione era sembrata inizialmente quella più sensata, almeno a una prima lettura del testo della legge. Poi però è successo un fatto nuovo. Il ministro Brunetta ha chiesto un parere ufficiale al Consiglio di Stato. E i magistrati del Consiglio di Stato hanno detto che la legge va interpretata nell'altro modo. Quindi la Cgil non serve più. Ecco perché è stato possibile firmare il contratto prima di Natale, come abbiamo già raccontato.

Ma a quanto pare la diatriba non si è ancora del tutto esaurita. La Cgil ha annunciato che presenterà ricorso: "Il contratto - si legge in un comunicato - è stato sottoscritto da Cisl e Uil senza l'adesione del 51% delle organizzazioni sindacali, fatto di una gravità politica inaudita, peraltro illegittimo dal punto di vista normativo, e che certamente troverà seguito in una nostra azione legale". Pare che gli avvocati della Cgil siano abbastanza sicuri di vincere la causa. Vedremo su quali argomenti punteranno.

In ogni caso, nella prossima busta paga gli aumenti previsti dal contratto dovrebbero già esserci a prescindere da eventuali ricorsi e dalla validità del contratto. Così prevede un articolo della legge Finanziaria approvato dal Parlamento per volontà di Brunetta. Ma insieme all'aumento, in quella stessa busta paga i dipendenti di Inps, Inail, Inpdap, Aci e degli altri enti rischiano di trovare anche una brutta sorpresa. Ne parleremo a tempo debito.

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