lunedì 30 giugno 2008

Il governo fa la festa alle guardie carcerarie (e agli ufficiali giudiziari?)

Oggi, 30 giugno, è San Basilide, protettore della Polizia penitenziaria. Quest'anno per la prima volta il santo è stato festeggiato in questa data nelle carceri, "mediante apposite cerimonie, che dovranno prevedere in particolare la celebrazione di funzioni religiose". Lo ha disposto una apposita circolare del ministero.

I sindacati del personale carcerario spiegano che la celebrazione del 30 giugno è stata una loro conquista: finora la festa del santo e la festa del corpo di Polizia penitenziaria avveniva in un solo giorno, e le guardie carcerarie si sentivano discriminate perché
tutti gli altri corpi (carabinieri, Ps, eccetera) hanno in calendario due feste in due date differenti. Ora, finalmente, anche nelle carceri si possono organizzare due feste: quella per San Basilide a giugno, quella della Polizia penitenziaria in autunno. I sindacati assicurano anche che lo sdoppiamento della celebrazione non comporta un aumento dei giorni di festività in busta paga, e quindi non ci sono aggravi di costo per l'amministrazione.

In questi stessi giorni però il ministro Renato Brunetta ha ripetuto una sua idea già anticipata un po' di tempo fa in un'intervista al Messaggero. L'idea sarebbe quella di privatizzare le carceri. O meglio, aprire carceri private (con personale privato, ovviamente) da affiancare a quelle pubbliche. In un'intervista all'Espresso, Brunetta sostiene che si potrebbero riconvertire a questo scopo "tanti villaggi turistici dismessi". Dal bagno in mare al bagno penale.

Privatizzare pezzi di pubblica amministrazione è uno dei propositi del governo Berlusconi, e qualcuno comincia ad essere preoccupato. Per esempio c'è chi si allarma fra gli ufficiali giudiziari (quelli che notificano gli atti dei processi, eseguono le sentenze, rendono esecutivi gli sfratti). Al Senato il presidente della Commissione Giustizia Filippo Berselli ha presentato un disegno di legge che trasforma l'ufficiale giudiziario in un professionista privato, anziché essere un funzionario del ministero. Se ne parla da tanti anni, chissà se questa volta lo faranno sul serio.

A casa (anzi al secondo lavoro) in anticipo e con mezzo stipendio

L'articolo 72 del decreto di Tremonti si intitola: "Personale dipendente prossimo al compimento dei limiti di età per il collocamento a riposo". E' una misura che si rivolge ai dipendenti dei ministeri, delle agenzie, della Presidenza del Consiglio, dell'università, degli enti di ricerca, degli enti previdenziali e degli altri enti pubblici non economici, che abbiano maturato almeno 35 anni di contributi. A questi dipendenti il governo avanza un'offerta: non aspettate di arrivare a 40 anni, lasciate il lavoro subito; continuerete a ricevere metà stipendio, e quando avrete raggiunto i limiti per la pensione massima avrete diritto al trattamento intero, come se non aveste mai smesso di lavorare.

Nella relazione tecnica della legge, è scritto che i dipendenti potenzialmente interessati a questa proposta sono 10 mila. E il Tesoro prevede che uno su cinque la accetterà. Quindi 2 mila persone.

Difficile dire se il pronostico si avvererà. Una cosa è sicura: quelli che accetteranno il pensionamento saranno nella grande maggioranza dei casi i doppiolavoristi. Difficile immaginare che qualcuno possa accontentarsi di metà stipendio se non può fare affidamento su un'altra entrata. Nei giorni scorsi un sindacalista ha definito l'articolo 72 "una sanatoria sul doppio lavoro", e in fondo non ha tutti i torti.

Ovviamente, il Tesoro ha pensato la misura nella speranza di ricavare qualche risparmio. Dimezzare lo stipendio per 2 mila dipendenti vicini alla pensione (quindi con un salario medio abbastanza alto) significherebbe risparmiare all'incirca una quarantina di milioni l'anno.

Con questa norma però il governo ha fatto felici più di tutti i dipendenti che appartengono a una particolare categoria. Sono quelli che, oltre ad aver raggiunto i 35 anni di contributi, prendono già oggi una busta paga dimezzata avendo scelto di passare al part-time. A loro la norma del decreto Tremonti offre una straordinaria opportunità: potranno chiedere di tornare al lavoro a tempo pieno, e subito dopo chiedere l'esonero ai sensi dell'articolo 72. Così continueranno ad essere pagati come prima, ma senza dover più lavorare neppure un giorno a settimana. Lo Stato rinuncerà definitivamente ai loro servizi, ma su di loro non risparmierà neppure un euro.

venerdì 27 giugno 2008

Il detective anti-assenteismo

Avete mai provato a fare su Google la ricerca "assenteisti dipendenti pubblici"? Il risultato è un elenco di oltre 20 mila siti che hanno trattato l'argomento (fra i quali ovviamente anche PUBBLICO DOMINIO).

La prima impressione che se ne ricava è che certamente internet non aiuta a chiarirsi le idee sull'argomento. Fra i primi siti che compaiono nella lista di Google, ce n'è uno che dice "Trieste la città più assenteista"; ma poco dopo ce n'è un altro che annuncia: "Dipendenti pubblici assenteisti, il record è a Bolzano". E andando avanti di qualche pagina ci sono altri che attribuiscono il primato a Roma.

Ma la segnalazione più interessante forse è quella in testa alla prima pagina di risultati, là dove sono inseriti gli sponsored links, cioè i siti che hanno pagato Google per avere una collocazione di riguardo. Alla ricerca "assenteisti dipendenti pubblici" l'unico link sponsorizzato è quello del sito www.agatachristie.it. Si tratta di una società di investigatori privati, che fra i suoi servizi - oltre alle classiche indagini sui tradimenti coniugali - propone anche le "investigazioni per assenteismo". Uno strumento che evidentemente può tornare utile tanto alle aziende private quanto alle amministrazioni pubbliche.

Non mi stupirei se un giorno si scoprisse che qualche ministero ha già ingaggiato un detective per controllare le assenze dei suoi dipendenti.

giovedì 26 giugno 2008

Una strana meritocrazia: aumenti uguali per tutti, premi azzerati

Per un mese in Italia quasi non si è parlato d'altro che di dipendenti pubblici e delle riforme che il governo avrebbe avviato. Adesso che finalmente le leggi ci sono, non ne parla più nessuno. Finito il tempo delle interviste dovrebbe cominciare quello della lettura dei testi, ma si sa che agli italiani piace poco leggere.

Non si parla affatto, ad esempio, degli aspetti economici. Il decreto di Tremonti ha stanziato le risorse per il rinnovo dei contratti nazionali. La cifra prevista dovrebbe bastare a garantire una rivalutazione del 3,2%, pari a un aumento medio di 70-80 euro lordi al mese.

Tanti o pochi? Io non lo so, però so che quando l'anno scorso i contratti portarono 100 euro a testa in busta paga tanti dipendenti pubblici definirono quell'aumento "una miseria" o peggio ancora "un'elemosina".

Il bello è che questa volta, mentre con una mano si concedono un po' di soldi per il salario fisso, con l'altra si levano soldi dal salario accessorio. Il decreto interviene pesantemente sui fondi di amministrazione. Nel 2009 per lo Stato centrale i premi di produttività sono quasi azzerati.

Il danno economico per i dipendenti sarà rilevante. Qualche esempio. Al ministero dell'Economia ci rimetteranno circa 5 mila e 300 euro. All'Inps 5 mila euro. Alla Farnesina 2 mila e 200 euro. Al ministero dell'Ambiente mille e 400 euro. E al ministero della Salute addirittura 9 mila e 500 euro a testa.

Questo nel 2009. A partire dal 2010 invece il taglio dei fondi sarà più contenuto, ma non indolore. Mille e 100 euro in meno per il ministero dell'Economia, quasi 2 mila per quello della Salute, circa 900 euro per le agenzie fiscali.

Quelle citate sono le amministrazioni più ricche, dove si può disporre di più fondi, e quindi la perdita è più alta. Ma anche nelle amministrazioni povere il sacrificio sul salario accessorio equivale più o meno al beneficio sul salario fisso.
Si potrebbe dire che questa è una operazione di livellamento salariale (verso il basso): grazie al decreto, ci saranno meno differenze di stipendio fra dipendenti pubblici. Aumenti contrattuali modesti ma uguali per tutti, mentre si comprime la parte variabile della busta paga, destinata a premiare i più bravi.

Subito dopo le elezioni il governo Berlusconi si è presentato con un proposito chiaro: ridurre il peso dei contratti nazionali, e aumentare quello dei contratti integrativi. I soldi per i lavoratori dipendenti devono venire dai premi e dagli incentivi aziendali, non dallo stipendio fisso. Al momento il programma viene attuato soltanto per i dipendenti privati. Nel settore pubblico si fa l'esatto contrario: i pubblici sono stati esclusi dagli sconti fiscali sugli straordinari e sui premi di produttività, e adesso subiscono anche una decurtazione secca dei premi.

Dietro a questa scelta c'è la convinzione che nel settore pubblico fino a oggi si siano spesi troppi soldi per incentivare la produttività. E che questi soldi siano stati sprecati, perché distribuiti in modo poco efficace. Il problema è che ci rimetteranno anche quelle amministrazioni dove i soldi dei contratti integrativi sono stati utilizzati in modo serio. E ce ne sono. Magari poche, ma ce ne sono.

domenica 22 giugno 2008

Altro che Brunetta! Arrivano i tagli di Tremonti

Finora si è parlato tanto delle riforme di Brunetta, e poco dei tagli alle spese per il personale ordinati per decreto dal suo collega Tremonti. I contenuti di quel decreto li ho anticipati qualche giorno fa in un articolo sul Messaggero. Credo che ci sia materia per parecchi post nei giorni a venire.

La trasparenza c'è già: ecco i dati sui distacchi sindacali

Vogliamo dare una mano a Brunetta nella sua meritoria opera di trasparenza. "Metterò on line i dati sui distacchi sindacali" ha annunciato il ministro. Ebbene, noi l'abbiamo fatto già. Anche perché i dati erano pubblici da un pezzo, scritti in un decreto del '94 e da due accordi-quadro firmati all'Aran. Chi volesse leggere le cifre sui distacchi sindacali, sia totali che divisi per comparto, può trovarli in un articolo sul Messaggero.it.

E' giusto licenziare chi è stato assolto dal giudice? A volte sì

Fra le tante misure di legge che Brunetta aveva presentato ai sindacati nelle scorse settimane, ce n'era una che aveva provocato le sentite rimostranze dei sindacati.

In base alla riforma di Brunetta (quando sarà approvata), un dipendente inquisito per un reato penale potrà essere licenziato dalla sua amministrazione anche prima che sia arrivata la sentenza definitiva della magistratura. E' un principio su cui sono più o meno tutti d'accordo (anche se qualche resistenza ancora c'è, si pensi a cosa è successo nei mesi scorsi con il contratto delle agenzie fiscali). Del resto il primo ad aver proposto questa modifica normativa era stato l'allora ministro Luigi Nicolais durante la precedente legislatura. La regola attuale, per cui il procedimento disciplinare viene sospeso in attesa che si concluda quello penale, è stata fino a oggi una benedizione per tanti criminali veri (su tre milioni e mezzo di dipendenti pubblici, qualche disonesto inevitabilmente c'è). La giustizia ordinaria ha tempi lunghi, e nel frattempo quella disciplinare va in prescrizione. Così è successo che funzionari condannati per corruzione, o insegnanti condannati per molestie sessuali agli alunni, abbiano conservato il posto di lavoro e lo stipendio.

Fin qui dunque nessuna grande polemica. Ma nei documenti presentati da Brunetta ai sindacati si ipotizzava anche un'altra norma. Che diceva più o meno così: se alla fine dell'iter penale il dipendente inquisito viene assolto, questo non comporta necessariamente il suo reintegro sul posto di lavoro. E' qui che Cgil, Cisl e Uil sono insorti. La parola "reintegro" ha fatto scattare il riflesso condizionato, in particolare, della Cgil: questa sarebbe - dicono i sindacalisti - una violazione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che impedisce il licenziamento di un lavoratore dipendente senza giusta causa.

Ma è proprio così? Io direi di no. Se un imputato viene assolto, significa che non ci sono elementi sufficienti per mandarlo in galera, ma questo non prova necessariamente la mancanza di una giusta causa di licenziamento. Certo, se vengo accusato di aver intascato una tangente e il giudice sentenzia che "il fatto non sussiste", cioè che non ho preso una lira, allora ho tutto il diritto di essere reintegrato al mio posto e anche di essere risarcito per il danno subito. Ma se il giudice, pur riconoscendo che la tangente l'ho intascata, mi assolve per prescrizione?
E' solo un esempio, la casistica può essere infinita. Si può essere assolti "perché il fatto non costituisce reato", ma magari quel fatto costituisce giusta causa di licenziamento.

Insomma, bisogna distinguere caso per caso. Quando arriva la sentenza definitiva, l'amministrazione ha il dovere di valutare - seguendo le regole del procedimento disciplinare - se il licenziamento va effettivamente confermato oppure no. D'altra parte, non è che un dipendente può essere licenziato soltanto se ha commesso un reato. La giusta causa di licenziamento può consistere anche in una violazione del contratto, un grave errore commesso sul lavoro, una serie di assenze ingiustificate.

Cgil Cisl e Uil hanno avanzato tante altre obiezioni alle riforme di Brunetta, tutte abbastanza sensate. Questa invece sembrava un po' debole. Forse proprio per questo è l'unica obiezione che il ministro ha raccolto: nel testo della legge arrivato in Consiglio dei ministri la norma sul reintegro non c'era più.

lunedì 16 giugno 2008

Cgil, Cisl e Uil scrivono a Brunetta: caro ministro, così non va

I sindacati ci sono e battono un colpo. Dopo un mese di sorrisi e di disponibilità al dialogo, Cgil Cisl e Uil hanno inviato al ministro Brunetta un documento abbastanza puntuto sulla riforma che sta per arrivare. Se ne parla in un articolo pubblicato dal Messaggero.it

Un punto debole nei discorsi di Brunetta (e di tutti gli altri)

C'è un'obiezione che nessuno fa mai al ministro Brunetta, né agli altri che espongono le loro teorie sulla pubblica amministrazione italiana.

Tutti chiedono, giustamente, alla burocrazia italiana più efficienza, più produttività, meno assenze, meno sprechi, eccetera eccetera. Ma per avere "di più" e sprecare "di meno", bisognerebbe innanzitutto sapere quanto abbiamo e quanto sprechiamo adesso. Cioè bisognerebbe essere in possesso di dati. E invece questi dati non ci sono.

Un cavallo di battaglia di Brunetta è il benchmarking. Parola che non ha traduzione in italiano, ma che in sostanza significa "fare raffronti". Si sceglie un benchmark, cioè un indice di riferimento, un risultato ottimale raggiunto da qualcuno; dopo di che si vede chi si è avvicinato di più a questo benchmark, e chi invece si è tenuto più lontano.
Niente di nuovo, ne parlava già Bassanini dieci anni fa. Ma come si fa il benchmarking se prima non ci sono i benchmark?
Facciamo un esempio concreto: l'assenteismo. Brunetta dice che bisogna portare in tre anni il tasso di assenteismo nel pubblico impiego allo stesso livello delle aziende private. Benissimo, se non fosse che fino a oggi nessuno ha mai calcolato il tasso assenteismo dei privati. Gli unici dati disponibili sono le stime, ormai un po' vecchiotte, che riguardano le sole aziende metalmeccaniche.

Senza contare che gli stessi dati sul pubblico impiego sono spesso difettosi o incompleti (nonostante i passi avanti compiuti negli ultimi anni dalla Ragioneria dello Stato). Le cifre sul personale delle amministrazioni sono poco attendibili perché le amministrazioni in Italia sono tante (circa diecimila), sono molto diverse fra loro, spesso non trasmettono le loro informazioni agli uffici che devono raccoglierle (la Ragioneria, la Funzione pubblica), e quando le trasmettono in genere sono informazioni non omogenee.
Un esempio recente è il famoso elenco dei consulenti pubblicato su internet dal ministro Brunetta. La lettura di questa banca dati è certamente interessante e di pubblica utilità, ma è evidente che quelle informazioni sono molto approssimative: nell'elenco ci sono contratti che non hanno niente a che vedere con le consulenze e le collaborazioni, mentre non si trovano molti nomi che avrebbero dovuto essere inclusi ma che evidentemente le amministrazioni hanno tenute nascosti, anzi alcune amministrazioni non hanno affatto inviato i loro dati.
Morale: quella cifra di un miliardo e 300 milioni indicata dai giornali come spesa complessiva per le consulenze è sicuramente sbagliata, forse per difetto, forse per eccesso.

Chiunque dica la sua a proposito della pubblica amministrazione parte da cifre che lasciano il tempo che trovano. Ieri sulla Stampa di Torino c'era un intervento dell'economista Luca Ricolfi tutto basato su un assai discutibile calcolo degli sprechi realizzato dall'Osservatorio del Nord Ovest. "Almeno 80 miliardi di euro l'anno", dice Ricolfi, che poi entra addirittura nel dettaglio: la "spesa improduttiva sulla spesa totale" ammonterebbe al 18% nella sanità, al 25% nella scuola, al 35% nella giustizia civile. Non mancano poi le distinzioni territoriali, con le immancabili "enormi differenze" fra Nord e Sud.
Saranno buoni questi dati? E come sono stati calcolati? Vallo a sapere.

Questo naturalmente non significa che le cose vanno bene così e che si deve lasciare tutto come è oggi. Significa semmai che la prima riforma da fare è proprio una riforma dei numeri. Investire sulla raccolta dei dati e sulla loro corretta elaborazione. Perché non si può migliorare una cosa se prima non la si conosce.

(In un prossimo post vorrei invece evidenziare un punto debole negli argomenti dei sindacati).

Storie di assenteismo

Ogni tanto qualcuno si accorge che non tutti gli assenteisti sono impiegati pubblici. Come dimostra la storia raccontata qualche giorno fa dai cronisti di Rovereto: il dipendente di un'impresa privata è stato beccato dal suo datore di lavoro mentre danzava in televisione in mezzo a due ballerine, sebbene per l'azienda risultasse in malattia. Dal certificato medico risultava soffrire per i "postumi da un'ernia inguinale". L'impresa lo ha licenziato e lo ha pure denunciato per truffa continuata.

Quando si parla di dipendenti pubblici assenteisti si portano sempre ad esempio gli impiegati dei ministeri, dei comuni, gli infermieri degli ospedali, ma nessuno pensa mai di indagare sull'assenteismo nelle forze dell'ordine. Eppure, secondo i dati della Ragioneria, il comparto dei corpi di polizia è quello dove si registra la più alta media di assenze per malattia.
Si pensi a quell'agente di polizia in servizio presso la frontiera del Traforo Monte Bianco di cui hanno parlato recentemente i giornali. Anche lui aveva mandato un certificato medico, anzi tre certificati nell'arco di un mese, che attestavano una "sindrome influenzale" e una "distorsione del polso sinistro". Nel frattempo se ne andava a sciare sulle piste di Courmayeur. I suoi colleghi lo hanno visto e lo hanno denunciato. E' finito sotto processo con l'accusa di truffa aggravata. Il pubblico ministero pensava di aver dimostrato in maniera inequivocabile la sua colpevolezza grazie ai tabulati che segnavano i passaggi dello skypass sugli impianti di risalita. Invece l'agente è stato assolto. L'imputato ha ammesso di essere effettivamente andato in montagna, ma solo per prendere il sole e tirarsi un po' su il morale. L'avvocato difensore ha poi insinuato il dubbio che in realtà il suo assistito avesse prestato a qualche amico lo skypass. Alla fine il giudice ha sentenziato che "al pari di ogni altro dipendente statale assente dal servizio per malattia, il poliziotto non è tenuto a restare in casa". E ha aggiunto che "il dipendente in malattia ha interesse a osservare le prescrizioni che il medico riterrà di impartire per agevolare la completa guarigione, ma non ha certamente l’obbligo di seguirle".

L'ultima storia di assenteismo invece riguarda un burocrate a tutti gli effetti, un impiegato del catasto. Ma un impiegato particolare. Si tratta di una donna, una certa signora Adele, in servizio all'Agenzia del Territorio di Cosenza. La signora ha l'avventura di essere sposata con un presunto boss della 'ndrangheta. L'altro giorno è stata arrestata anche lei, nell'ambito di un'inchiesta su un'organizzazione di usurai. Ma mentre l'impiegata veniva trasferita in carcere, qualcuno in ufficio (evidentemente non informato dell'arresto) strisciava il suo tesserino magnetico per farla risultare presente. Ora i carabinieri stanno indagando sulle presenze in ufficio della dipendente prima dell'arresto. E un'indagine interna è stata aperta anche dall'Agenzia del Territorio, che peraltro è una delle amministrazioni italiane meglio organizzate nel controllo e nella valutazione del personale.

venerdì 13 giugno 2008

Perché si fanno pochi fatti e troppe leggi. E non solo in Italia

Mercoledì scorso alla Luiss (l'università della Confindustria) c'è stato un convegno sulla semplificazione e le riforme della burocrazia. Tutti i relatori concordavano sul fatto che in Italia facciamo troppe legge, e oltretutto non le applichiamo. Gli stessi relatori si complimentavano con il ministro Brunetta per le nuove leggi che sta per presentare.

Fra i tanti interventi più o meno interessanti, mi ha colpito quello di Philippe Bastelica, direttore delle relazioni internazionali dell'Ena (la famosa scuola post-universitaria che forma la migliore classe dirigente francese).
Bastelica ha provato a spiegare perché non solo in Italia, ma in tutto il mondo i politici tendono a fare tante leggi e pochi fatti.
Ha utilizzato un esempio tratto dalle recenti cronache francesi.

Pare che l'opinione pubblica d'Oltralpe fosse molto colpita dall'alto numero di incidenti mortali sulle strade, provocati spesso da automobilisti ubriachi. Per rispondere alla domanda di sicurezza stradale - osserva Bastelica - un governo può prendere due tipi di provvedimenti:
1) può abbassare i limiti di tasso alcolico per chi guida, presentando una nuova legge;
2) può aumentare la sorveglianza, mettere sulle strade più autovelox, più pattuglie, fare più controlli sul tasso alcolico di chi guida; in altre parole, può esercitare il suo potere amministrativo anziché quello legislativo.

E' evidente che la seconda opzione produrrebbe effetti molto più concreti della prima. A che cosa serve fissare nuovi limiti alcolemici, quando poi nessuno controlla se questi limiti vengono rispettati?
Il governo francese invece ha scelto la prima opzione, ovvero ha presentato una nuova legge riducendo la soglia di alcol tollerata per gli automobilisti.

Secondo Bastelica, in tutte le democrazie i governi sono indotti a prediligere la via legislativa perché il tempo della politica è quello dei media, non quello dei fatti. Per migliorare il mondo reale ci vogliono anni, e forse ci vogliono addirittura decenni prima che l'opinione pubblica si renda conto del miglioramento. Per un politico che deve ripresentarsi alle elezioni è allora molto più produttivo un titolo di telegiornale che annuncia un "giro di vite contro gli alcolisti al volante".

Questo lungo discorso mi è servito per rispondere all'interrogativo che avevo posto ieri. Che bisogno c'è di scrivere una nuova norma per introdurre il reato di truffa aggravata a carico degli assenteisti, se quel reato esiste già? Ecco, si potrebbe maliziosamente pensare che norme del genere vengono scritte soprattutto per ottenere un bel titolo sul giornale.

Ma a pensar male si fa peccato e non sempre ci si azzecca. Il ministro Brunetta si è circondato di tecnici seri, e personalmente tendo a credere che gli autori di quella norma fossero spinti soprattutto dall'esigenza di fare chiarezza. E' vero che già oggi i magistrati contestano la truffa aggravata ai dipendenti pubblici che strisciano il badge e scappano, ma si tratta di un'interpretazione del codice penale che alcuni giudici possono anche respingere. Con la legge di Brunetta si fuga ogni dubbio. E allo stesso tempo si esclude la possibilità di riconoscere un altro reato talvolta ipotizzato nelle inchieste, quello di falso in atto pubblico.

Insomma, forse non c'è niente di male se un ministro specifica meglio una legge. Il problema semmai è che i giornali non dovrebbero dedicare i loro titoli di prima pagina a una proposta tutto sommato di secondaria importanza.

giovedì 12 giugno 2008

Timbrare il cartellino e andarsene dall'ufficio: il reato c'è già

Sui giornali in edicola oggi, si trovano nuovi dettagli sull'imminente riforma del ministro Brunetta. Una delle novità più eclatanti sarebbe l'applicazione del reato di truffa aggravata per quei dipendenti pubblici che timbrano il cartellino (o strisciano il badge) e se ne vanno, oppure per quelli che presentano falsi certificati medici.

Ma la novità è molto meno nuova di quanto sembri. Per capirlo basta leggere gli stessi giornali di oggi. Dove si racconta che ad Acerra un dipendente comunale è già sotto processo per il reato di truffa, avendo svolto un secondo lavoro (da barista) negli orari d'ufficio. E il processo non è cominciato oggi, ma parecchio tempo fa, c'è già stata una condanna in primo e in secondo grado, e ieri la Cassazione ha confermato l'esistenza della truffa (mentre ha escluso il falso in atto pubblico).
E il caso di Acerra non è sicuramente il primo, visto che qualche mese fa in una asl di Perugia dodici presunti assenteisti sono stati arrestati con l'accusa, appunto, di truffa aggravata e falso in atto pubblico.

Ma allora, il reato di truffa viene già applicato nelle aule dei tribunali, perché si fa una nuova legge? Probabilmente perché si vuole affermare in modo inequivocabile la perseguibilità penale dei comportamenti assenteistici, togliendo ogni spazio a possibili diverse interpretazioni da parte della magistatura. Questa almeno è la spiegazione benevola. Si potrebbe anche proporre una spiegazione più maliziosa. Ne parleremo domani in un nuovo post.


P. S. Purtroppo questa volta nel tranello disinformativo ci sono cascato pure io: sul Messaggero di oggi ho annunciato come una novità il reato di truffa per gli strisciatori di badge disonesti. E sulla falsa notizia ovviamente la redazione ha costruito il titolo in prima pagina. In fondo anche questa è una piccola truffa aggravata, anche se non perseguibile penalmente. Siccome non mi è concesso di chiedere scusa sul giornale, lo faccio qui.