martedì 4 novembre 2008

Il protocollo Brunetta è un successo per il governo, un affare per i contribuenti, una fregatura per i dipendenti pubblici

E' ora di dare un giudizio sul protocollo d'intesa siglato da governo e sindacati. Quelle tre pagine segnano l'inizio di una nuova epoca per i dipendenti pubblici italiani, e non si può non esprimere una valutazione. Chi scrive su questo blog non fa parte del governo, né di un partito di maggioranza, né di uno di opposizione, né di un sindacato, e non è neppure un dipendente pubblico. Perciò è libero di dire la sua senza essere influenzato da alcun interesse personale.
Analizzerei il testo del protocollo a seconda dei punti di vista.

1. Per i dipendenti pubblici.
Chi lavora in un'amministrazione pubblica non troverà in questo accordo molte ragioni per gioire. Firmandolo i sindacati hanno di fatto rinunciato a un anno di aumenti (nel 2008 ci saranno soltanto gli 8 euro della vacanza contrattuale) e hanno dato il via libera a un contratto nazionale da 70 euro lordi mensili (di cui 60 di aumento di stipendio vero e proprio e 10 da distribuire con i contratti integrativi). Sono cifre che gli stessi sindacati firmatari consideravano fino a pochi giorni fa una miseria. Vi ricordate che cosa si diceva nei posti di lavoro appena qualche mese fa, quando furono firmati i contratti dell'ultimo biennio? Malumori fra i dipendenti, assemblee di fuoco, crisi di coscienza fra i sindacalisti, dirigenti di Cgil-Cisl-Uil contestati, e alle Agenzie fiscali addirittura si andò vicini alla bocciatura del contratto. In alcuni comparti la Confsal (che oggi ha aderito alla proposta di Brunetta) si rifiutò di firmare. All'epoca si trattava di un aumento medio da 101 euro lordi, ma tutti i dipendenti pubblici la consideravano "un'elemosina". Eppure gli stipendi si rivalutavano del 4,5, cioè più dell'inflazione, mentre con l'accordo di Brunetta la rivalutazione sarà del 3,2%, cioè molto meno di quanto crescerà il costo della vita (si veda questa tabella).
La Cisl e la Uil ribattono: sì, ma grazie a questo accordo abbiamo recuperato i soldi che Tremonti aveva tagliato dai fondi di amministrazione. E' vero. Ma è come dire che si è ottenuto il risultato di avere quello che si aveva già. Si è accettata una perdita di potere d'acquisto per non dover subire un danno ancora maggiore. Non mi sembra un grande successo. Senza contare che, siglando la pace con il governo, Cisl e Uil hanno di fatto rinunciato a difendere quei 50-60 mila precari destinati a rimanere disoccupati fra meno di un anno.

2. Per i contribuenti.
Quelli che forse dovrebbero gioire sono gli altri italiani. Coloro che non lavorano per il settore pubblico, e che pagano le tasse. Il contratto da 70 euro, unito alla riduzione degli organici programmato per i prossimi anni, farà risparmiare parecchi soldi allo Stato. Ridurre il costo del personale è una cosa molto negativa per il personale, ma molto positiva per il paese. In questo momento vanno di moda le ricette economiche keynesiane, e tutti consigliano al governo di aumentare la spesa pubblica per sostenere i consumi e favorire la ripresa. Ma per Keynes - che era un genio - la spesa pubblica non era mica tutta uguale: c'è spesa e spesa. Personalmente, rimango dell'idea che lo Stato italiano ha ancora bisogno di ridurre le sue spese correnti (cioè pensioni e stipendi dei dipendenti pubblici), mentre le poche risorse disponibili andrebbero concentrate sugli investimenti (cioè ferrovie, porti, reti tecnologiche, ricerca scientifica, volendo anche istruzione). Un investimento è una spesa che mi garantirà un reddito maggiore nel futuro. Una spesa corrente è una spesa e basta.
Certo, non tutti i contribuenti sono uguali. Per i lavoratori autonomi, un risparmio sui contratti pubblici è sicuramente un affare. Per i dipendenti delle imprese invece il discorso è più complesso: risparmieranno sulle tasse, ma ci rimetteranno sui loro stipendi, perché il 3,2% di rivalutazione concesso ai pubblici farà da parametro per i contratti nazionali dei privati.

3. Per il governo.
Non c'è dubbio: dalla vertenza sul pubblico impiego chi esce sicuramente vincitore è il governo. Con il protocollo d'intesa si è garantito un biennio di moderazione salariale. Ma soprattutto, è riuscito a spaccare il fronte dei sindacati confederali. E' un successo politico. Isolare la Cgil è stato sin dall'inizio un obiettivo primario del centrodestra, soprattutto di quell'area del centrodestra che fa capo a Sacconi e Brunetta. Con la Cgil e la Cisl che si fanno la guerra, il Partito democratico si trova in forte imbarazzo. Lo si è visto già lo scorso 25 ottobre al Circo Massimo: Walter Veltroni ha potuto sfogarsi sulla scuola (dove i sindacati sono rimasti uniti) ma riguardo al pubblico impiego è dovuto rimanere sul generico, per evitare di scontentare l'una o l'altra confederazione.
Per il governo Berlusconi, un accordo separato senza la Cgil ha un valore politico altissimo. Ecco perché Brunetta ha ottenuto il via libera da Palazzo Chigi, nonostante l'opposizione del ministro dell'Economia Giulio Tremonti, che non voleva concedere neppure quei pochi soldi necessari a raggiungere l'accordo.

Ma dei contrasti fra Tremonti e Brunetta parleremo nei prossimi giorni.

8 commenti:

Anonimo ha detto...

sono luigi casarin segretario generale della Cisl FP Lazio e non entro nel merito ai ragionamenti su imbarazzi e vantaggi politici interni alle diverse coalizione che si confrontano su tavoli diversi dai nostri. Siamo ben fieri di essere coerenti con le nostre caratteristiche fondanti che è quella della vera autonomia
Il primo obiettivo che ha un'organizzazione sindacale è quello di trovare un tavolo per trattare e difendere i diritti salariali e normativi dei lavoratori ad ogni costo. Questa possibilità si è ottenuta grazie alla mobilitazione di tutti i lavoratori che si erano resi conto che l’azione del Governo mirava a destabilizzare l’intero sistema retribuitivo.
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Mi permetto di far rilevare in ciò che lei dice una contraddizione in termini reali. Da un lato afferma che ciò che è stato firmato genera svantaggi per i lavoratori pubblici, dall'altro afferma che "Personalmente, rimango dell'idea che lo Stato italiano ha ancora bisogno di ridurre le sue spese correnti (cioè pensioni e stipendi dei dipendenti pubblici)". Delle due l'una. Entrando nel merito dell'intesa, che per quanto riguarda l'organizzazione che rappresento è solo un primo passo verso traguardi sicuramente più garantisti da un punto di vista salariale e funzionale, Le vorrei ricordare che una legge dello Stato la n. 13/08 sono state decurtate parti fondamentali del salario senza tenere in alcuna considerazione le richieste delle OO.SS., azzerando con ciò un modello di relazioni che da 50 anni caratterizzava il nostro Paese. Il protocollo di intesa ristabilisce la situazione salariale quo ante tramite un confronto con le OO.SS. In più va aggiunto un argomento che a me sembra a Lei caro, che gli effetti dei processi organizzativi di razionalizzazione e riduzione dei costi del funzionamento delle amministrazioni possono essere destinate al finanziamento della contrattazione integrativa . Ciò produrrà due effetti: il primo una generale e partecipata attenzione alle modalità gestionali , esempio consulenze, segreterie particolari, servizi inutili o ridondanti, outsourcing di servizi che possono essere gestiti con professionalità interne ecc., il secondo effetto è quello di mettere alla prova professionale i dipendenti pubblici che operano nelle pubbliche amministrazioni aumentando la qualità dei servizi. E’ una sfida che si apre sul piano del diritto comune che le amministrazioni istituzionalmente devono imparare ad esercitare in maniera corretta .
Sicuramente non le sarà sfuggito un passo dell’accordo che ha riflessi anche sul contratto: l’armonizzazione del contratto pubblico con quello del settore privato. Perché questo? Il confronto che si sta attuando tra le confederazioni (anche tra chi dissente ma rimane seduta al tavolo!) e confindustria per la revisione del modello contrattuale tende al superamento dell’accordo sul costo del lavoro del 93. Accordo indispensabile in quel contesto ma ormai superato dagli eventi.
Solo per precisione lo strumento individuato per determinare l’inflazione è e l’ipca in cui il livello percentuale dell’inflazione discusso tra confindustria e oo.ss è ben superiore di un punto di quello dell’inflazione programmata stabilita dal governo .
Ma sicuramente Lei avrà letto già lo schema dell’accordo di cui parliamo. In merito al CCNL che fa riferimento all’accordo del 93 e che parla di inflazione programmata certamente non siamo soddisfatti nemmeno noi però va precisato che lo 0,8% è stato inserito in finanziaria dal Governo precedente a questo e che le altre risorse, seppur esigue, sono stata inserite da questo Governo. Questo stratagemma è stato usato a parti inverse nella precedente Legislatura.
Quindi la nostra posizione sul contratto è quella di un confronto serrato con l’aran per cercare di trovare le risorse aggiuntive ma il vero ostacolo all’aumento salariale è un accordo su un modello contrattuale che ancora qualcuno in maniera conservatrice vuole mantenere. Certo è che questa intesa per noi va difesa fino in fondo e contratteremo fino a quando tutto che è stato scritto verrà portato a casa, altrimenti i metodi democratici del sindacato che non sono legati a contingenze politiche , svolgeranno ancora una volta il loro ruolo, nelle piazze, negli uffici e sui mezzi di stampa come sempre abbiamo fatto.

Pietro Piovani ha detto...

Ringrazio Luigi Casarin per il suo intervento, così articolato e così appassionato. Riguardo alla contraddizione in cui sarei caduto, francamente non mi pare: come ho già provato a spiegare nel post, ciò che è bene per i dipendenti pubblici non sempre è bene per il paese.

Aggiungerei un'altra osservazione. Casarin scrive: "questa intesa per noi va difesa fino in fondo e contratteremo fino a quando tutto [ciò] che è stato scritto verrà portato a casa". Mi sembra una conferma del fatto che l'accordo con il governo, già così controverso, non è neppure tanto inequivocabile nella sua formulazione. E quando si tratterà di interpretarlo potrebbe venire fuori qualche spiacevole per i lavoratori. A cominciare dal punto più delicato: le risorse per gli integrativi.

Anonimo ha detto...

credo vada corretta la risposta "venire qualche spiacevole...che????"

Pietro Piovani ha detto...

Mi è scappata la parola "sorpresa". Si legga dunque: "...potrebbe venire fuori qualche spiacevole [sorpresa]". Grazie della segnalazione.

Anonimo ha detto...

il problema secondo me è che al di là del confronto con la controparte è abbastanza evidente che questo scontro sta diventando uno scontro interno per il predominio all'interno dei sindacati stessi. Risolto il problema della marginalità degli autonomi ora la guerra è tra chi utilizza ogni strumentalizzazione per fare politica e chi cerca di risolvere e affrontare i problemi per quello che sono .

e cmq il fatto che lo sciopero cgil e sopratutto le manifestazioni siano state un flop la dice lunga sul fatto che la gente è stanca di essere presa a pretesto per guerre che nulla hanno a che fare con il lavoro.

Anonimo ha detto...

Non mi sorprende, ultimamente, vedere tirare in ballo le teorie economiche Keynesiane, che sembrano tornate così attuali in questo periodo di recessione, talvolta a sostegno di tesi a mio parere stravaganti. In particolare non credo proprio che Keynes abbia mai ritenuto la spesa per consumi delle famiglie dei dipendenti pubblici (“cioè pensioni e stipendi dei dipendenti pubblici”) meno rilevanti delle altre componenti della domanda globale (vedi gli investimenti) ai fini della determinazione del reddito nazionale, soprattutto in un Paese dove il problema è stimolare la domanda interna.
Sarebbe utile ricordare a volte che i dipendenti pubblici sono cittadini che utilizzano i servizi pubblici al pari di tutti gli altri e che soprattutto pagano le tasse fino all’ultimo centesimo, a differenza di alcuni altri (lavoratori autonomi).

Za-la-mort ha detto...

Gentile Piovani, lei introduce giustamente il tema della qualità della spesa e, in questo, mi trova d'accordo. Vorrei però partire da alcuni concetti di base molto semplici per poter tentare un qualsiasi approccio al moloch della spesa per la pubblica amministrazione.

Provo a elencarli con grande parsimonia di parole:
Primo - la politica, per decenni, ha utilizzato le assunzioni pubbliche come ammortizzatore sociale in realtà economiche depresse, con risvolti di clientelismo politico elettorale, scaricandone il costo sul deficit pubblico e incrementando lo stock di debito pubblico.

Secondo - il fenomeno si è propagato e diffuso attraverso la "regionalizzazione" di buona parte delle competenze dell'amministrazione centrale, avvenuta fra il 1972 ed il 1998, moltiplicando i centri di spesa e le occasioni di assunzione clientelare a vantaggio della classe politica locale.

Terzo - l'Italia democristiana ha ereditato il meccanismo fascista dello "stato imprenditore" (IRI, ENI, ENEL, EFIM ecc. Ministero per le Partecipazioni Statali, Cassa del Mezzogiorno) finanziandolo esattamente come accaduto per il "primo concetto".

Quarto - le privatizzazioni avviate negli anni '90 sono state operazioni "formali", ossia mutamenti di natura giuridica delle strutture pubbliche, e, quando sono state "sostanziali", ossia realizzate tramite cessione effettiva di quote di proprietà a privati investitori, si sono tradotte nel trasferimento di rendite di posizione monopolistiche o oligopolistiche a imprenditori "amici" di questa o quella componente politica.

Quinto - le assunzioni in massa nelle amministrazioni centrali si sono sostanzialmente ridotte, sin quasi ad arrestarsi, per effetto dei ripetuti provvedimenti di blocco del c.d. turn over dei dipendenti, a partire dai primi anni '90. Il tasso di sostituzione è progressivamente calato da 1 a 3 sino a 1 a 10, ossia un neo assunto per ogni dieci che vanno in pensione. Con la conseguenza che il costo del personale si riduce solo in apparenza, poichè viene trasferito dalla voce "stipendio" alla voce "previdenza".

Sesto - la stragrande maggioranza dei dipendenti pubblici, eccetto forze di PS, professori universitari, magistrati e altre piccole categorie, è stata "contrattualizzata" sulla scorta del lavoro privato nel 1993, in maniera acritica e senza voler conservare alcune peculiarità sostanziali che avrebbe avuto senso, invece, mantenere nel nuovo assetto.

La conseguenza di queste sei premesse è riassumibile in una semplice proposizione: ad oggi la pubblica amministrazione in senso esteso, il c.d. settore pubblico allargato, occupa in modo squilibrato un gran numero di risorse umane, tendenzialmente anziane sia anagraficamente che professionalmente, in larga parte sottopagate, spesso impegnate in compiti non coerenti col proprio "core business", fortemente influenzate dalla politica e scarsamente coese come categoria professionale.
Questo tipo di pubblica amministrazione non è frutto del caso, ma è funzionale a determinati interessi politici ed economici. Provi a seguirmi in alcune considerazioni.

Prima considerazione: dipendenti con professionalità obsoleta e dirigenza delegittimata consentono un'invasione di campo condizionante della politica a tutti i livelli di gestione, specie quando si tratta di spendere denaro pubblico, per dirottare consulenze, appalti e forniture di beni e servizi su soggetti imprenditoriali "amici". Ciò è tanto più visibile, quanto maggiore è la prossimità dell'amministrazione al territorio locale, specialmente se il territorio è controllato dalla criminalità organizzata.

Seconda considerazione: questo Governo, come tutti i Governi che lo hanno preceduto dal 1992 ad oggi, ha necessità di "evidenziare" (attenzione al verbo usato) un trend virtuoso nel contenimento del rapporto fra deficit pubblico e PIL, in un quadro di incremento del denominatore del rapporto tendente allo zero (con una dinamica di prezzi crescenti per fattori esogeni) ciò al fine di "evidenziare" una tendenziale riduzione dello stock di debito.

Terza considerazione: per ovvi motivi di interesse politico elettorale, che si evincono chiaramente dal quadro delineato sin qui, il governo non può procedere a ridurre i costi delle esternalizzazioni, eliminando cioè quell'assetto (dis)funzionale della P.A., attraverso la reinternalizzazione di segmenti di attività, affidati a privati "amici", tramite costosi appalti, esternalizzazioni, consulenze, società miste, co-sourcing e via discorrendo.

Di nuovo, la conclusione sintetica è di una semplicità disarmante: occorre tagliare le spese a sacco d'ossa, non migliorare la qualità della spesa.

Sono evidenti le distorsioni di questa impostazione rispetto ad un modello fisiologico di buona gestione della cosa pubblica.

Il problema non è risparmiare e basta, il problema è riformare per orientare la funzione verso le priorità di intervento, riprofessionalizzando il personale e mandando a casa, in quiescenza, quello eccedente. Questo sfugge tanto al sindacato, quanto alla politica, al sindacato perché vittima della sindrome del Piave, alla politica perché, al di là dei numeri di questa maggioranza, essa vive di clientelismo e non di rappresentanza.

Anonimo ha detto...

sono un dipendente pubblico e mi trovo completamente d'accordo con quanto da Lei espresso al punto 1 (danni economici -e aggiungerei normativi- per i lavoratori pubblici)
non condivido invece l'affermato gioire degli altri italiani (non pubblici dipendenti); sono convinto che da parecchi anni e governi si cerchi di smantellare la pubblica amministrazione, che non significa solo certificati e burocrazia, ma anche sanità, pensioni, scuola, lotta all'evasione fiscale, alla sicurezza, ecc.
anche non condividendo questa mia visione, non si può negare che una P.A. con meno dipendenti, malpagati, vessati di "fannullonismo", ecc., sia una P.A. che offre MENO servizi e PIU' SCADENTI, problemi ai quali gli "altri italiani" citati dovranno far fronte con più disagi, maggiori costi e alternative PRIVATE (è piena l'italia di valenti imprenditori pronti a fiondarsi su servizi da privatizzare -fs e alitalia docet-).
e se questo basta a farli gioire, beati loro, io mi auguro -per tutti- che non sia così.