mercoledì 20 febbraio 2008

L'inquisito deve essere licenziato?

Secondo il luogo comune, in Italia i dipendenti pubblici sono intoccabili. Uno statale non perde mai il posto, si dice, neppure se commette il peggiore dei crimini. In realtà non è così, anzi ogni anno nelle amministrazioni vengono licenziate decine e decine di persone. E' la regola del "fattoide" che infesta il dibattito pubblico nel nostro paese e in tutto il mondo: ne abbiamo già parlato in un altro post.

I lavoratori che vengono licenziati sono tanti, ma sicuramente meno di quelli che lo meriterebbero. Non perché i dipendenti pubblici siano disonesti, ma perché sono tanti. E' un fatto statistico: fra 3 milioni e mezzo di impiegati e funzionari, è inevitabile che si nasconda qualche centinaio di malfattori (100 su 3 milioni e mezzo significa appena lo 0,003% del personale).

Le cronache raccontano spesso di condannati per reati gravi che rimangono al loro posto di lavoro. E' successo e continua a succedere: bidelli pedofili ancora in servizio nella loro scuola, tangentari che restano seduti dietro la loro scrivania, uscieri rapinatori e via scorrendo il codice penale.

Una prima contromisura è stata presa con il nuovo contratto nazionale dei ministeri. Con il consenso dei sindacati, è stata abolita dal contratto la regola in base alla quale un dipendente inquisito non poteva essere sospeso per più di cinque anni. Si sa che in Italia i processi (fra primo grado, appello e cassazione) possono durare anche una decina d'anni, dunque il limite di cinque anni garantiva di fatto il ritorno in ufficio anche ai peggiori criminali.
L'accordo raggiunto per i ministeri sarà esteso all'imminente contratto delle agenzie fiscali, e poi si spera anche a tutti gli altri contratti nazionali.

Ma il problema non si può considerare risolto. Il vero nodo da sciogliere è un altro. Si chiama: "pregiudiziale penale". Ovvero quel principio, anch'esso previsto dai contratti, secondo cui un inquisito non può essere licenziato finché non arriva la sentenza definitiva. Al massimo può essere sospeso, ma non licenziato. La regola produce due effetti:
- primo, che essendo sospeso il dipendente inquisito continua a ricevere la metà dello stipendio;
- secondo, che spesso l'ultima sentenza penale arriva quando sono scaduti i termini della prescrizione nei procedimenti disciplinari, per cui alla fine il licenziamento non è più possibile.
Ecco perché a volte il lavoratore pubblico riesce a salvare il posto anche dopo una condanna.

Le agenzie fiscali vorrebbero abolire la pregiudiziale penale, almeno per i reati più gravi (come corruzione e concussione) e in caso di flagranza di reato. La richiesta era stata avanzata a Cgil, Cisl e Uil in sede di rinnovo del contratto. Fra i tre grandi sindacati qualcuno era disposto a discuterne, qualcun altro preferiva di no. Alla fine si è deciso di rinviare la discussione al prossimo contratto, e al prossimo governo. Anche perché forse è più corretto affrontare il tema in una trattativa generale per tutto il pubblico impiego: i corrotti non stanno soltanto nelle agenzie fiscali.

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