martedì 13 maggio 2008

Numeri da non crederci

Piovono numeri, percentuali, stime, statistiche di tutti i tipi. La pubblica amministrazione è in prima pagina, e il giornalismo al giorno d'oggi si fa con le cifre. Possibilmente sbagliate.

Ne abbiamo già parlato in passato, ma è bene ribadire che tutti i dati sulle assenze dei dipendenti pubblici diffusi in questi giorni sono dati a casaccio.

La più bella l'abbiamo vista ieri sera a "Porta a porta". L'oggetto era: l'assenteismo di pubblici e privati a confronto. Un classico.
Il dato sui dipendenti delle imprese private era: 9,6 giorni di assenza medi a testa. La fonte: Cgia di Mestre.
I lettori assidui di PUBBLICO DOMINIO conoscono già questo numero. Come spiegammo in un vecchio post, il calcolo dei 9,6 giorni all'anno l'avevamo elaborato noi qualche tempo fa, poi la Cgia di Mestre ce lo copiò senza indicare la fonte. E quel numero non si riferisce a tutti i dipendenti privati (nessuno ha mai fatto un calcolo globale) bensì ai soli lavoratori metalmeccanici.

Ma attenzione. Ci si poteva aspettare che Bruno Vespa, avendo riportato il dato della Cgia di Mestre riferito ai privati, utilizzasse la stessa ricerca (copiata) per i pubblici. Invece no. Guarda caso, la redazione di "Porta a porta" ha scelto per i lavoratori un altro dato, attribuito alla "Ragioneria generale dello Stato". La media dei giorni persi per malattia è diventata così di oltre 16 giorni all'anno, anziché 10,5 giorni come sarebbe stato giusto scrivere. La differenza dipende dal fatto che in quei 16 giorni vengono compresi anche i congedi di maternità, i permessi per malattia del figlio o quelli della legge 104 (assistenza a un parente disabile). Insomma si mettono a confronto due dati non omogenei, e se ne trae la conclusione che i dipendenti pubblici si ammalano quasi il doppio di quelli privati.

Come al solito, i dati vengono aggiustati per supportare una tesi, e per andare incontro al senso comune. I numeri dicono che un impiegato pubblico si mette in malattia più o meno come un metalmeccanico? Nessuno ci crederà mai, piuttosto cambiamo i numeri.

Una vecchia battuta diceva: secondo un'indagine dell'Istat, il 90,5% delle statistiche è totalmente inattendibile.

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